Insegnare il Novecento: il modernismo
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StartFragmentSvevo e Pirandello sono scrittori decadenti? Oppure scrittori di avanguardia? A quale movimento letterario appartengono? E Montale? In questo articolo si considerano le risposte contraddittorie che a questo problema danno manuali e storie letterarie e si articola una proposta in linea con la cultura europea e con la ricerca storiografica italiana più avanzata che da tempo fanno ricorso a un’altra categoria critica, quella di modernismo.EndFragment

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Modernismo, avanguardie e poesia
Dal modernismo come cultura unitaria nascono le avanguardie del primo Novecento, espressionisti, futuristi, surrealisti. Le avanguardie tuttavia non esauriscono le possibilità del modernismo, ne esprimono solo un versante, quello più oltranzista, volto a rompere i ponti col passato, a mettersi alla testa di un processo che deve anticipare il futuro e far trionfare il progresso, e infine, coerentemente, a travalicare l’azione estetica in azione politica. Le tendenze artistiche primonovecentesche messe in atto dalla cosiddetta “generazione degli anni Ottanta” oscillano tutte fra moti avanguardisti e semplice condivisione della cultura modernista. Ma per crepuscolari, espressionisti, futuristi, frammentisti vociani il polo d’attrazione delle avanguardie è decisamente forte e a volte, come nel caso del futurismo, ovviamente pervasivo. Alcuni scrittori della generazione precedente, come Pirandello e Svevo, o della nuova, come Tozzi e poi Gadda, o Montale, Ungaretti e Saba, non aderiscono mai a questi movimenti, se ne tengono lontani e talora polemizzano apertamente con essi. Vivono da isolati la loro cultura modernista, non fanno gruppo; si pongono le stesse domande degli autori di avanguardia, ma danno loro risposte diverse; inoltre non conferiscono eccessivo credito al futuro, anzi spesso nemmeno ci credono, né rompono totalmente col passato, ma, pur essendo decisamente e coraggiosamente innovatori, ne cercano possibili linee da riprendere e prolungare in modi nuovi. In poesia Montale, Ungaretti e Saba scavalcano Carducci, Pascoli e d’Annunzio, che sentono troppo attardati, e, in mancanza di un maestro della modernità come era stato Baudelaire in Francia, retrocedono più indietro, a Foscolo e Leopardi e, ancora più indietro, a Dante e a Petrarca. Tutt’e tre aprono filoni diversi e paralleli nel Novecento italiano (quello metafisico, epifanico e allegorico di Montale, quello della poesia pura e analogica Ungaretti, quello della poesia romanzesca, prosastica e diaristica Saba), eppure sono uniti da una stessa rottura nei confronti dei poeti della generazione precedente e dalla stessa esigenza di ricostruzione di un senso dopo la dissoluzione effettuatane dalle avanguardie (indicato in termini epifanici e allegorici dal Montale più modernista, quello delle Occasioni, in termini analogici e religiosi da Ungaretti, freudiani in Saba). Se la formula che li accomunava nelle antologie di Anceschi-Antonielli (Lirica del Novecento, 1953) e, quasi identica, nella silloge continiana La letteratura dell’Italia unita (1968) e in quella sanguinetiana di La poesia del Novecento del 1969 (“lirici del Novecento”, “lirici nuovi”, la “poesia del Novecento” e così via) soffocava le differenze appiattendoli su una improbabile linea unitaria di matrice postsimbolista, coglieva tuttavia una aria di famiglia che oggi possiamo recuperare attribuendole il nome che si merita: modernismo.
- tratto da: Romano Luperini, "Insegnare il Novecento: il modernismo", 2 febbraio 2013, su laletteraturaenoi.it
per leggere il testo completo, si veda
http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/interpretazione-e-noi/83-insegnare-il-novecento-modernismo.html
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